La modalità di accesso preferita dagli italiani per investire i propri risparmi è, ad oggi, indubbiamente il trading online, ovvero allocare le risorse finanziarie utilizzando i canali remoti come pc, tablet o smartphone. Un modus operandi che, col passare del tempo, sta diventando sempre più in voga, grazie a molteplici vantaggi come comodità, risparmio e varietà nella scelta degli asset di investimento.
Grazie ad Internet, infatti, i risparmiatori hanno ampliato gli strumenti finanziari a loro disposizione: oltre ai comparti azionari e obbligazionari, già noti grazie agli sportelli bancari, essi hanno l’opportunità di investire in alcuni asset come Forex, Criptovalute o CFD, divenuti noti al grande pubblico grazie alla grande rete telematica e accessibili, di fatto, solo iscrivendosi ad un portale finanziario.
Conto trading: prima dell’apertura, è importante richiedere un preventivo
Quando si investe tramite Internet, il primo passo da compiere è quello di aprire un conto di trading online, indispensabile come appoggio per regolare le operazioni di compravendita effettuate nei mercati finanziari. Nonostante dei limiti nella negoziazione di certi asset, anche alcuni istituti di credito consentono la possibilità ai propri clienti di aprire un conto corrente di trading online.
In questo caso, in base a quanto previsto dalla normativa vigente, il risparmiatore dovrà presentare alcuni documenti per poter procedere all’apertura: carta identità; codice fiscale; certificato di residenza o documento equivalente (ad esempio bollette del gas) che attesti l’effettivo domicilio; scelta del metodo di pagamento per regolare le operazioni di trading (bonifico, carta di credito, etc); indirizzo e-mail da collegare al conto trading.
L’opzione maggiormente sfruttata dai trader, però, è quella dell’apertura del predetto conto trading direttamente online, rispettando, in un certo senso, la natura prettamente tecnologica dello stesso trading online, che nasce col chiaro obiettivo di consentire agli utenti di accedere ai mercati tramite la grande rete telematica.
Quando si apre questa tipologia di rapporto bancario, gli aspetti da tenere in considerazione sono molteplici. È molto importante, in tal senso, richiedere un preventivo prima di procedere all’apertura di un conto trading. Quando si apre un conto corrente, la prima voce che balza all’occhio è quella relativa alle spese di gestione, apertura e chiusura del conto: nel caso del trading, nella maggior parte dei casi queste spese sono azzerate.
Da tenere in grande considerazione, invece, quelle relative all’accesso nelle piattaforme finanziarie, luoghi in cui avvengono le transazioni nei mercati. In alcuni casi, infatti, alcuni istituti propongono soluzioni falsamente gratuite, in quanto, non disponendo di servizi sufficientemente evoluti e di supporto, obbligano l’utente ad iscriversi a piattaforme professionali, che prevedono il pagamento di un canone.
I costi fissi del trading: dalle commissioni sul transato alle spese fiscali
Quando si opera nel mondo del trading online, però, la voce tenuta in maggior considerazione è quella relativa alle commissioni. Ogni transazione finanziaria, infatti, prevede l’applicazione di un costo parametrato, in termini percentuali, al valore dell’operazione eseguita. Questo costo, spesso, è assai variabile, anche se – in base ad un recente studio – la commissione media applicata è pari allo 0,18%.
L’apertura di un conto corrente adibito al trading, inoltre, in alcuni casi, seppur rari, può prevedere il pagamento di un canone annuo. Non sono molti gli intermediari che includono questo tipo di spesa, anche se nell’ultimo anno, complice l’abbassamento dei tassi ed una minor redditività per gli istituti finanziari, questa voce di spesa è stata talvolta rivista, introducendola o rialzandola.
Esistono, poi, alcuni costi fissi, che ogni risparmiatore, purtroppo, difficilmente può negoziare con gli intermediari finanziari: le spese fiscali. Quando si opera nel mondo del trading, infatti, ogni operazione conclusa in guadagno prevede l’applicazione di un’imposta, nota col nome di capital gain, del 26% sul profitto realizzato, che scende al 12,50% quando si opera nel comparto dei titoli di stato nostrani.
Detenere dei titoli finanziari, inoltre, prevede il pagamento annuale dell’imposta di bollo, che alcuni istituti ripartiscono trimestralmente o semestralmente in base all’invio del rendiconto titoli. Questa tassa, che ammonta allo 0,20% dei titoli posseduti, colpisce il controvalore effettivo del proprio portafoglio investimenti e non la somma effettivamente investita.